IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO 
                       Sezione seconda penale 
 
    Il  giudice  dott.  Francesco  Maccagnano,  visti  gli  atti  del
procedimento penale n. 1379/16  R.G.N.R.,  considerato  il  compendio
probatorio  formatosi  all'esito  dell'istruttoria  del  giudizio  n.
6447/17 R. G. Dib. celebratosi a carico, fra gli altri, di M. .  .  .
V. . . . , nato a . . . in data . . . ; a scioglimento della  riserva
assunta all'udienza del 9 luglio 2019; 
 
                               Osserva 
 
    1. Con decreto di citazione a giudizio emesso in data  28  giugno
2016, M. . . . V. . . . e' stato chiamato  a  rispondere  dinanzi  al
Tribunale di Taranto in composizione monocratica  del  reato  di  cui
all'art. 648, comma  2,  del  codice  penale,  perche',  al  fine  di
procurarsi  un  ingiusto  profitto,  avrebbe  acquistato  o  comunque
ricevuto (in epoca anteriore e prossima al 10  gennaio  2016)  sedici
confezioni di rasoi e sedici  confezioni  di  lamette  per  rasoi  di
provenienza illecita, in quanto oggetto di furto ai danni di A. . . .
F. . . . , come da denuncia da quest'ultimo sporta in data 13 gennaio
2016 presso la Questura di Taranto. 
    2. Gia' ad una prima lettura del capo d'imputazione  elevato  nei
confronti del M. . . . - e, a  fortiori,  all'esito  dell'istruttoria
dibattimentale, esauritasi all'udienza del 9 aprile 2019 - puo' dirsi
che il fatto addebitato al predetto non soltanto sia da ricondurre al
paradigma normativo di cui all'art. 648, comma 2, del codice  penale,
ma sia altresi' caratterizzato da quella  «tenue  offensivita'»  che,
rispetto  ad  altre   fattispecie   penali,   legittima   ed   impone
l'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis
del codice penale, disposizione introdotta dal decreto legislativo n.
28 del 16 marzo 2015. 
    In particolare, la condotta antigiuridica per cui e' giudizio non
solo sembrerebbe aver comportato il  conseguimento  di  un  lucro  di
speciale tenuita' ma parrebbe  aver  cagionato  in  capo  all'odierna
persona offesa, A. . . . F. . . . un danno parimenti  particolarmente
tenue. 
    Come risulta dal certificato del casellario giudiziale  in  atti,
peraltro, l'imputato e' soggetto incensurato e  non  v'e'  motivo  di
ritenere  che  egli  sia  incardinato  entro   strutturati   contesti
criminali;  la  condotta  di  ricettazione  addebitatagli,  pertanto,
appare del tutto occasionale. 
    3. Osta all'applicazione in favore del M. . . .  della  causa  di
non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice  penale  il  fatto
che questa non operi in riferimento ai reati per i quali e'  prevista
una pena detentiva superiore nel massimo a cinque  anni,  cosi'  come
stabilito dal primo comma della predetta disposizione. 
    4. A parere di questo giudice, l'inapplicabilita' della causa  di
non  punibilita'  di  cui  all'art.  131-bis  del  codice  penale  in
riferimento al  caso  di  specie  e,  piu'  in  generale,  alle  meno
offensive tra le condotte sussumibili entro il perimetro  applicativo
della fattispecie di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale  e'
incompatibile con il dettato costituzionale - ed in  particolare  con
l'art. 3 della Costituzione - in quanto, come meglio si dira'  oltre,
foriera di  inevitabili  ed  ingiustificati  diversi  trattamenti  di
ipotesi delittuose caratterizzate da analoga scarsa offensivita'. 
    5. Questo Tribunale non ignora che dinanzi a codesta Corte si  e'
gia' celebrato un giudizio di legittimita' costituzionale  avente  ad
oggetto proprio l'inapplicabilita' del disposto dell'art. 131-bis del
codice penale in riferimento all'ipotesi attenuata  di  ricettazione;
trattasi di un giudizio promosso dal Tribunale di Nola con  ordinanza
del  14  gennaio  2016  e  definitosi  con  sentenza   n.   207/2017,
declaratoria dell'infondatezza della questione sollevata dal  giudice
campano; nella presente sede, tuttavia, lo scrivente intende  muovere
da assunti differenti da quelli sottesi alla  predetta  questione  di
legittimita'  costituzionale;  in  particolare,   con   la   presente
ordinanza non si intende sindacare la scelta compiuta dal Legislatore
di ancorare al limite edittale di cinque anni l'applicabilita'  della
causa di non punibilita' in questione (1) . 
    6. Le censure formulate  da  questo  Tribunale  con  la  presente
ordinanza muovono dalla constatazione che il delitto di cui  all'art.
648, comma 2, del codice penale e' punito, nel minimo, con  una  pena
detentiva della durata di quindici giorni:  con  tutta  evidenza,  il
Legislatore ha formulato in riferimento alle meno  offensive  fra  le
condotte di ricettazione un giudizio di scarsissimo  disvalore:  cio'
posto,  a   parere   di   questo   giudice   risulta   manifestamente
irragionevole  che  in  riferimento  a   condotte   similmente   poco
stigmatizzate dall'ordinamento non possa applicarsi la causa  di  non
punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice  penale,  nel  mentre,
rispetto a condotte per le quali e' stato formulato  un  giudizio  di
disvalore ben piu' severo, tale esimente ben possa essere applicata. 
    A   titolo   esemplificativo   -   volendo    fare    riferimento
esclusivamente a delitti lesivi del medesimo bene giuridico  tutelato
dalla disposizione di cui all'art. 648, comma 2, del  codice  penale,
al precipuo  fine  di  non  prendere  in  considerazione  fattispecie
strutturalmente  e  assiologicamente  disomogenee  fra  loro   -   e'
sufficiente rammentare che, ad oggi, non sono  punibili  le  condotte
tenuamente offensive ed occasionali riconducibili alla fattispecie di
furto non aggravato (art. 624 del codice penale), alla fattispecie di
danneggiamento (art. 635 del codice penale) ed  alla  fattispecie  di
truffa (art. 640 del codice penale); trattasi di delitti la cui  pena
detentiva minima e' pari a sei mesi di reclusione,  maggiore  di  ben
dodici volte la pena minima prevista dal codice penale in riferimento
al delitto di ricettazione attenuata. 
    Orbene, vero e' - come  condivisibilmente  stabilito  da  codesta
Corte costituzionale  -  che  il  Legislatore  ben  puo',  nel  pieno
esercizio  della  propria  discrezionalita'  normativa,  prendere  in
considerazione  dati  di  tipo  squisitamente  astratto  (le  cornici
edittali) al fine di perimetrare il campo d'applicazione di una causa
di non punibilita';  appare  altrettanto  vero,  tuttavia,  che  tale
delimitazione  -  inevitabilmente   comportante   un   «giudizio   di
ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e  confliggenti»,
da svolgersi prioritariamente entro il circuito legislativo  -  debba
avvenire in ossequio a canoni di ragionevolezza, al fine di prevenire
incongrue  ed  ingiustificabili   diversita'   di   trattamento   fra
situazioni  omogenee  fra  loro  (sul  punto  si   rinvia   a   Corte
costituzionale n. 140/2009). 
    Cio' posto, non pare in alcun modo spiegabile per quale motivo il
Legislatore  debba  rinunciare  ad  esercitare  la  propria  potesta'
punitiva in riferimento a condotte  lesive  di  un  determinato  bene
(punite, nel minimo, con una certa pena) pur continuando a sanzionare
condotte lesive del medesimo bene con pene  minime  d'entita'  dodici
volte inferiore. 
    Un simile assetto normativo risulta ancor  piu'  ingiustificabile
ove solo si pensi che nell'ordinamento penale italiano -  cosi'  come
in ogni sistema di delitti e di pene (2)  -  e'  il  minimo  edittale
della pena, come affermato da autorevole dottrina,  ad  indicare  «la
vera scelta politica del legislatore penale, in termini di "penalita'
materiale"» (3) , cosi' come  si  ricava  anche  dalla  piu'  recente
giurisprudenza  costituzionale   in   materia   di   irragionevolezza
«intrinseca» dei  «minimi»,  ed  in  particolare  dalle  sentenze  n.
236/2016 e 40/2019 emesse da codesto giudice delle leggi. 
    7. Non pare inutile rammentare che - come icasticamente affermato
da Jhering - la «tariffa della pena», ossia la comminatoria edittale,
rappresenta la misura del valore dei beni  sociali:  «ponendo  da  un
lato i beni sociali e dall'altro le pene  si  ottiene  la  scala  dei
valori di una societa'» (4) . 
    Muovendo da tale constatazione, autorevole dottrina  ha  rilevato
che proprio la prefissazione di  un  minimo  edittale  ratifichi  «in
assoluto   la   collocazione   gerarchica    del    bene    tutelato,
contrassegnando l'"ultimo" gradino al quale puo' scendere  la  tutela
giuridica», mentre il massimo legale segnerebbe «piuttosto il  limite
estremo  fino  al  quale  l'ordinamento  e'  disposto  ad  assicurare
l'efficacia concreta di tale misura» (5) . 
    Orbene, alla luce di simili  condivisibili  considerazioni,  deve
ritenersi  ictu  oculi  irragionevole  che  il  Legislatore  dapprima
accordi in riferimento al bene giuridico protetto dalla  disposizione
di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale una tutela  giuridica
attestantesi, nel minimo,  al  piu'  basso  «gradino»  possibile  ma,
contestualmente, ad ogni tutela finisca  per  rinunciare  -  mediante
l'istituto di cui all'art. 131-bis del codice  penale  -  laddove  lo
stesso bene  (il  patrimonio)  venga  offeso  da  condotte  (furtive,
decettive o  distruttive)  normalmente  ritenute  meritevoli  di  una
repressione ben piu' severa: la «scala  di  valori»  complessivamente
desumibile da un simile assetto normativo pare disarmonica, iniqua  e
del tutto  dissonante  con  il  disposto  di  cui  all'art.  3  della
Costituzione. 
    8.  Appare  appena  il  caso  di  rammentare  che   l'inevitabile
disparita' di trattamento ravvisata da questo giudice e' stata  presa
in considerazione da  codesta  Corte  nel  sopra  citato  arresto  n.
207/2017. 
    Giova riportare testualmente la motivazione della sentenza de qua
relativa a tale problematica: «se si fa riferimento alla pena  minima
di quindici giorni di reclusione, prevista  per  la  ricettazione  di
particolare tenuita', non e' difficile immaginare  casi  concreti  in
cui rispetto a tale fattispecie potrebbe operare utilmente  la  causa
di non punibilita' (impedita dalla comminatoria di sei anni),  specie
se si considera che, invece, per reati (come, ad esempio, furto o  la
truffa) che di tale causa consentono l'applicazione, e'  prevista  la
pena minima, non particolarmente lieve, di sei  mesi  di  reclusione.
Pena che, secondo la valutazione  del  legislatore,  dovrebbe  essere
indicativa di fatti di ben maggiore offensivita'». 
    Codesta Corte ha poi ritenuto che «per ovviare a  una  situazione
di questo tipo, oltre alla pena massima edittale, al di  sopra  della
quale la  causa  di  non  punibilita'  non  possa  operare,  potrebbe
prevedersi anche una pena minima, al di sotto  della  quale  i  fatti
possano  comunque  essere  considerati  di   particolare   tenuita'»,
aggiungendo  poi  che  «interventi  del  genere  [...]  esulano,  per
costante giurisprudenza, dai poteri  di  questa  Corte»;  il  giudice
delle leggi, in conclusione, ha affermato  che  «di  tali  interventi
pero', una volta che ne sia stata rilevata l'esigenza, non  puo'  non
farsi carico il legislatore, per evitare il protrarsi di  trattamenti
penali generalmente avvertiti come iniqui». 
    Con  tutta  evidenza,  nella  sentenza  n.  207/2017   e'   stato
condivisibilmente messo in evidenza dal giudice delle  leggi  che  la
ragionevolezza della perimetrazione del campo  applicativo  dell'art.
131-bis del codice penale non attiene esclusivamente «floor». 
    9. Orbene, questo giudice condivide il rilievo per cui  la  Corte
costituzionale giammai potrebbe stabilire una  volta  per  tutte  una
pena minima «al di sotto della quale i fatti possano comunque  essere
considerati di particolare tenuita'»: un simile intervento,  infatti,
comporterebbe    inevitabilmente    l'indebito    esercizio     d'una
discrezionalita' spettante in via esclusiva al  Legislatore;  fissare
una soglia di tal genere,  infatti,  e'  operazione  comportante  una
ponderazione stricto sensu politica fra opposte ragioni di carattere. 
    A parere di questo Tribunale, tuttavia, in capo a  codesta  Corte
sussiste  comunque  l'obbligo  di  «correggere»  le   disparita'   di
trattamento penale la cui irragionevolezza sia manifesta, in presenza
di validi tertia  comparationis,  e  cio'  pur  laddove  l'intervento
«correttivo» imposto dalle predette condizioni sia, per  cosi'  dire,
circoscritto e puntuale: nel caso di specie, tale correzione consiste
nel dichiarare l'art.  131-bis  del  codice  penale  incostituzionale
nella parte in cui lo stesso non e' applicabile  all'ipotesi  di  cui
all'art. 648, comma 2, del codice penale. 
    Un simile modus  procedendi  e'  stato  di  recente  adottato  da
codesta Corte, ad esempio,  nelle  sentenze  n.  251/2012,  105/2014,
106/2014, 74/2016 e 205/2017 in riferimento al divieto di  prevalenza
di plurime circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art.  99,
comma 4, del codice penale previsto dall'art. 69, comma 4, del codice
penale. 
    10. Conviene rammentare, inoltre, che codesta  Corte  sovente  ha
proceduto  alla  rimozione  dei  vulnera  derivanti   da   arbitrarie
asimmetrie sanzionatorie allineando la «risposta punitiva» di  talune
fattispecie  sottoposte  al  suo  scrutinio  a  quella   relativa   a
fattispecie  analoghe  in  termini  di   lesione   valoriale:   detta
operazione e' stata condotta al fine di  neutralizzare  incoerenze  e
disarmonie ravvisabili fra  le  cornici  edittali  di  vari  reati  -
rendendo applicabile ad alcuni di essi, ad esempio,  la  meno  severa
cornice di pena prevista  da  altri  -  oppure  estendendo  a  taluni
delitti le medesime soglie di punibilita' previste da altri (6) . 
    Nel caso di specie, l'allineamento della «risposta punitiva»  che
s'impone  di  effettuare  consiste   nell'estendere   il   campo   di
applicazione della causa di non punibilita' per particolare  tenuita'
del fatto - e dunque un vero e proprio limite al perseguimento di  un
reato - all'ipotesi di delitto di cui  all'art.  648,  comma  2,  del
codice penale, al fine di neutralizzare  ingiustificabili  disparita'
di trattamento. 
    11. Breviter, questo Tribunale ritiene: 
        - che - come stabilito in Corte costituzionale n. 207/2017  -
i c.d. «minimi edittali» non possano non giocare un ruolo  essenziale
nella  valutazione  della  legittimita'  del  perimetro   applicativo
dell'esimente di cui all'art. 131-bis del codice penale,  attualmente
delineato, per l'appunto, tenendo conto della  cornice  edittale  dei
vari reati; 
        - che l'inapplicabilita' della causa di  non  punibilita'  di
cui all'art. 131-bis del codice penale  al  delitto  di  ricettazione
attenuata  comporti  inevitabili  ed  irragionevoli   disparita'   di
trattamento, posto che detta esimente  risulta  applicabile  a  reati
quali il furto, il danneggiamento e la truffa, puniti nel minimo  con
pene dodici volte superiori a quella di quindici giorni prevista come
minimo per il reato di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale; 
        - che i delitti di cui agli articoli 624, comma 1, del codice
penale, 635 del codice penale e  640,  comma  1,  del  codice  penale
fungano  da  validi  tertia  comparationis  rispetto  al  delitto  di
ricettazione attenuata, posto che essi sono lesivi del bene giuridico
«patrimonio» e non presentano note strutturali radicalmente  difformi
rispetto a quelle caratterizzanti il delitto  di  cui  all'art.  648,
comma 2, del codice penale; 
        - che la disparita' di  trattamento  ravvisata  si  ponga  in
contrasto con principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
Costituzione, risolvendosi in una discriminazione irragionevole; 
        - che l'inapplicabilita' della causa di  non  punibilita'  in
questione si ponga altresi' in contrasto con l'art. 27, terzo  comma,
della Costituzione, atteso che la palese disparita' di trattamento in
parola e' idonea a frustrare le  esigenze  rieducative  correlate  al
trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 648, comma 2, del codice
penale. 
    12.  Da  ultimo,  giova  necessario  sottolineare  che  non  pare
riferibile al delitto di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale
alcuna  peculiare  caratteristica   strutturale   tale   da   doversi
astrattamente escludere, in riferimento allo stesso, l'applicabilita'
della causa di non punibilita' di cui  all'art.  131-bis  del  codice
penale. 
    Ed invero, risulta che il Legislatore, al  fine  di  limitare  le
ipotesi d'applicazione dell'esimente in parola, abbia inteso prendere
in considerazione un numerus clausus di ipotesi entro lo specifico ed
esaustivo «catalogo» di cui al secondo comma della  sopra  menzionata
disposizione  -  ex   plurimis   l'integrazione   delle   circostanze
aggravanti di cui all'art. 61, comma 1, n. 1) e 5) del codice  penale
o la causazione (anche non voluta) di morte o lesioni gravi  in  capo
ad un terzo. 
    A lume di tanto, non pare  possibile  riscontrare  rispetto  alla
ricettazione  attenuata  elementi  strutturali   tali   da   renderla
radicalmente disomogenea rispetto non soltanto  a  delitti  quali  il
furto non aggravato, la truffa non aggravata ed il danneggiamento, ma
anche rispetto a tutti  gli  altri  reati  rispetto  ai  quali  trova
applicazione la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis  del
codice penale. 
    13.  Va  considerato,  peraltro,   che   risulta   obiettivamente
irragionevole che condotte di ricettazione astrattamente punibili con
una pena di gran lunga inferiore a sei mesi - sino ad  un  minimo  di
quindici giorni - non  possano  ricadere  nel  perimetro  applicativo
dell'esimente di cui all'art. 131-bis del  codice  penale  in  virtu'
della incongrua circostanza che  l'art.  648,  comma  2,  del  codice
penale preveda una comminatoria a dir poco anomala, poco congruamente
quasi sovrapponibile in toto, nel massimo, a  quella  dell'art.  648,
comma 1, del codice penale. 
    Sul punto si e' gia' espressa  proprio  la  Corte  costituzionale
nella  sentenza  n.  207/2017  in  un  passaggio  che  vale  la  pena
riprendere  integralmente:  «se  e'  vero  che  in   materia   penale
l'esercizio della  discrezionalita'  legislativa  e'  in  gran  parte
sottratto al sindacato di questa Corte, e'  anche  vero  che  di  una
comminatoria per la ricettazione di particolare tenuita', che va (con
riguardo alla pena detentiva) da un minimo di quindici giorni fino ad
un massimo  di  sei  anni  di  reclusione,  non  puo'  non  rilevarsi
l'anomalia, tenuto conto dell'estensione dell'intervallo (sentenza n.
299 del 1992) e dell'ampia sovrapposizione con  la  cornice  edittale
della fattispecie non attenuata (punita con una pena  che  va  da  un
minimo di due anni a un massimo di otto anni di  reclusione).  E'  da
aggiungere che mentre il massimo di sei anni, rispetto agli otto anni
della  fattispecie  non  attenuata,   costituisce   una   diminuzione
particolarmente contenuta (meno di un terzo), al contrario il  minimo
di quindici giorni,  rispetto  ai  due  anni  della  fattispecie  non
attenuata, costituisce una diminuzione enorme». 
    14. Da ultimo, appare essenziale sottolineare che nella  sentenza
n. 207/2017 pare essere stato formulato nei confronti del Legislatore
un vero e proprio «monito»; in particolare, pare sia stato prescritto
a questi di rimuovere le disparita'  di  trattamento  inevitabilmente
derivanti dalla delimitazione del campo applicativo  della  causa  di
non punibilita' di cui all'art. 131-bis  del  codice  penale  fondata
solo  sul  riferimento  al  massimo  edittale  di  cinque   anni   di
reclusione. 
    A fronte dell'assoluta inerzia del Legislatore  sul  punto,  pare
utile rammentare che «quando per riparare  al  vulnus  costituzionale
non soccorra lo strumento demolitorio, la  Corte  costituzionale  non
puo' autonomamente e a propria discrezione decidere», ma «in mancanza
di un intervento del legislatore, la Corte [e'] pero' successivamente
obbligata a intervenire, non mai in  malam  partem,  e  comunque  nei
limiti gia' tracciati dalla sua giurisprudenza» (in tal senso,  Corte
costituzionale n. 179/2017). 
    Orbene,   nel   caso   di   specie   l'intervento   della   Corte
costituzionale  s'impone  in  virtu'  d'una  perdurante  ed  evidente
inerzia del Legislatore, foriera della  prosecuzione  di  trattamenti
sanzionatori -  per  usare  le  parole  di  Corte  costituzionale  n.
207/2017 «generalmente avvertiti come iniqui». 
    15. Alla luce di quanto sin qui detto, questo  Tribunale  ritiene
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale,  nella  parte  in
cui lo stesso non e' applicabile ai  fatti  di  particolare  tenuita'
offensiva riconducibili alla fattispecie di cui all'art.  648,  comma
2, del codice penale. 
    16.  Posto  quanto  precede  in   ordine   alla   non   manifesta
infondatezza della presente questione di legittimita' costituzionale,
va sottolineato come essa  sia  rilevante  nell'ambito  del  giudizio
dibattimentale a quo (R.G.  Dib.  n.  6447/17,  pendente  dinanzi  al
Tribunale  di   Taranto   in   composizione   monocratica,   processo
nell'ambito del quale l'istruttoria si e' gia' conclusa), e  cio'  in
quanto dal suo accoglimento puo' dipendere  la  declaratoria  di  non
punibilita' di M. . . . V. . . . (soggetto del tutto incensurato)  in
ordine  alla  ricettazione  di  poche  lamette  da  barba,  fatto  da
ritenersi di tenue offensivita' in virtu' della particolare  tenuita'
dell'offesa cagionata alla persona offesa e  del  lucro  di  speciale
tenuita' che esso ha comportato. 

(1) In particolare, questo Tribunale ritiene che:  1)  non  si  possa
    sindacare la legittimita' costituzionale  dell'art.  131-bis  del
    codice penale sulla base della mera circostanza che la  causa  di
    non punibilita' ivi prevista sia applicabile  soltanto  a  taluni
    reati e non anche ad altri; 2) non si puo' contestare  la  scelta
    operata   dal   Legislatore    di    limitare    l'applicabilita'
    dell'esimente de  qua  ai  reati  puniti  nel  massimo  con  pena
    detentiva inferiore a cinque anni. 

(2) In ottica comparatistica, si rinvia a quanto esposto in Mannozzi,
    Razionalita'  e  «giustizia»  nella  commisurazione  della  pena,
    Padova, 1996, p. 178 in ordine all'introduzione negli Stati Uniti
    dei c.d. mandatory minimum prison sentencing. 

(3) Cosi' V. Manes - V. Napoleoni,  La  legge  penale  illegittima  -
    metodo itinerari e limiti della questione di costituzionalita' in
    materia penale, Torino, 2019, p. 367.  A  precisare  che  proprio
    minimi edittali alti impediscono di ricostruire indici  credibili
    di tipicita' commisurativa e'  M.Donini,  La  personalita'  della
    responsabilita' penale tra tipicita'  e  colpevolezza  in  RIDDP,
    2018, p. 1577 e ss. 

(4) Cosi' R.V. Jhering, Lo scopo nel diritto, 1898,  ed.  italiana  a
    cura di M.G. Losano, Torino 1972, p. 346. 

(5) Cosi'  T.  Padovani,  La  disintegrazione  attuale  del   sistema
    sanzionatorio e le prospettive  di  riforma:  il  problema  della
    comminatoria edittale, RIDDP, 1982, p. 445 e ss. 

(6) Per un approfondimento della tematica de qua si rinvia a V. Manes
    - V. Napoleoni, La legge penale illegittima, p. 362 e ss.