IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO Sezione seconda penale Il giudice dott. Francesco Maccagnano, visti gli atti del procedimento penale n. 1379/16 R.G.N.R., considerato il compendio probatorio formatosi all'esito dell'istruttoria del giudizio n. 6447/17 R. G. Dib. celebratosi a carico, fra gli altri, di M. . . . V. . . . , nato a . . . in data . . . ; a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 9 luglio 2019; Osserva 1. Con decreto di citazione a giudizio emesso in data 28 giugno 2016, M. . . . V. . . . e' stato chiamato a rispondere dinanzi al Tribunale di Taranto in composizione monocratica del reato di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale, perche', al fine di procurarsi un ingiusto profitto, avrebbe acquistato o comunque ricevuto (in epoca anteriore e prossima al 10 gennaio 2016) sedici confezioni di rasoi e sedici confezioni di lamette per rasoi di provenienza illecita, in quanto oggetto di furto ai danni di A. . . . F. . . . , come da denuncia da quest'ultimo sporta in data 13 gennaio 2016 presso la Questura di Taranto. 2. Gia' ad una prima lettura del capo d'imputazione elevato nei confronti del M. . . . - e, a fortiori, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, esauritasi all'udienza del 9 aprile 2019 - puo' dirsi che il fatto addebitato al predetto non soltanto sia da ricondurre al paradigma normativo di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale, ma sia altresi' caratterizzato da quella «tenue offensivita'» che, rispetto ad altre fattispecie penali, legittima ed impone l'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale, disposizione introdotta dal decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015. In particolare, la condotta antigiuridica per cui e' giudizio non solo sembrerebbe aver comportato il conseguimento di un lucro di speciale tenuita' ma parrebbe aver cagionato in capo all'odierna persona offesa, A. . . . F. . . . un danno parimenti particolarmente tenue. Come risulta dal certificato del casellario giudiziale in atti, peraltro, l'imputato e' soggetto incensurato e non v'e' motivo di ritenere che egli sia incardinato entro strutturati contesti criminali; la condotta di ricettazione addebitatagli, pertanto, appare del tutto occasionale. 3. Osta all'applicazione in favore del M. . . . della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale il fatto che questa non operi in riferimento ai reati per i quali e' prevista una pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni, cosi' come stabilito dal primo comma della predetta disposizione. 4. A parere di questo giudice, l'inapplicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale in riferimento al caso di specie e, piu' in generale, alle meno offensive tra le condotte sussumibili entro il perimetro applicativo della fattispecie di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale e' incompatibile con il dettato costituzionale - ed in particolare con l'art. 3 della Costituzione - in quanto, come meglio si dira' oltre, foriera di inevitabili ed ingiustificati diversi trattamenti di ipotesi delittuose caratterizzate da analoga scarsa offensivita'. 5. Questo Tribunale non ignora che dinanzi a codesta Corte si e' gia' celebrato un giudizio di legittimita' costituzionale avente ad oggetto proprio l'inapplicabilita' del disposto dell'art. 131-bis del codice penale in riferimento all'ipotesi attenuata di ricettazione; trattasi di un giudizio promosso dal Tribunale di Nola con ordinanza del 14 gennaio 2016 e definitosi con sentenza n. 207/2017, declaratoria dell'infondatezza della questione sollevata dal giudice campano; nella presente sede, tuttavia, lo scrivente intende muovere da assunti differenti da quelli sottesi alla predetta questione di legittimita' costituzionale; in particolare, con la presente ordinanza non si intende sindacare la scelta compiuta dal Legislatore di ancorare al limite edittale di cinque anni l'applicabilita' della causa di non punibilita' in questione (1) . 6. Le censure formulate da questo Tribunale con la presente ordinanza muovono dalla constatazione che il delitto di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale e' punito, nel minimo, con una pena detentiva della durata di quindici giorni: con tutta evidenza, il Legislatore ha formulato in riferimento alle meno offensive fra le condotte di ricettazione un giudizio di scarsissimo disvalore: cio' posto, a parere di questo giudice risulta manifestamente irragionevole che in riferimento a condotte similmente poco stigmatizzate dall'ordinamento non possa applicarsi la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale, nel mentre, rispetto a condotte per le quali e' stato formulato un giudizio di disvalore ben piu' severo, tale esimente ben possa essere applicata. A titolo esemplificativo - volendo fare riferimento esclusivamente a delitti lesivi del medesimo bene giuridico tutelato dalla disposizione di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale, al precipuo fine di non prendere in considerazione fattispecie strutturalmente e assiologicamente disomogenee fra loro - e' sufficiente rammentare che, ad oggi, non sono punibili le condotte tenuamente offensive ed occasionali riconducibili alla fattispecie di furto non aggravato (art. 624 del codice penale), alla fattispecie di danneggiamento (art. 635 del codice penale) ed alla fattispecie di truffa (art. 640 del codice penale); trattasi di delitti la cui pena detentiva minima e' pari a sei mesi di reclusione, maggiore di ben dodici volte la pena minima prevista dal codice penale in riferimento al delitto di ricettazione attenuata. Orbene, vero e' - come condivisibilmente stabilito da codesta Corte costituzionale - che il Legislatore ben puo', nel pieno esercizio della propria discrezionalita' normativa, prendere in considerazione dati di tipo squisitamente astratto (le cornici edittali) al fine di perimetrare il campo d'applicazione di una causa di non punibilita'; appare altrettanto vero, tuttavia, che tale delimitazione - inevitabilmente comportante un «giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti», da svolgersi prioritariamente entro il circuito legislativo - debba avvenire in ossequio a canoni di ragionevolezza, al fine di prevenire incongrue ed ingiustificabili diversita' di trattamento fra situazioni omogenee fra loro (sul punto si rinvia a Corte costituzionale n. 140/2009). Cio' posto, non pare in alcun modo spiegabile per quale motivo il Legislatore debba rinunciare ad esercitare la propria potesta' punitiva in riferimento a condotte lesive di un determinato bene (punite, nel minimo, con una certa pena) pur continuando a sanzionare condotte lesive del medesimo bene con pene minime d'entita' dodici volte inferiore. Un simile assetto normativo risulta ancor piu' ingiustificabile ove solo si pensi che nell'ordinamento penale italiano - cosi' come in ogni sistema di delitti e di pene (2) - e' il minimo edittale della pena, come affermato da autorevole dottrina, ad indicare «la vera scelta politica del legislatore penale, in termini di "penalita' materiale"» (3) , cosi' come si ricava anche dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale in materia di irragionevolezza «intrinseca» dei «minimi», ed in particolare dalle sentenze n. 236/2016 e 40/2019 emesse da codesto giudice delle leggi. 7. Non pare inutile rammentare che - come icasticamente affermato da Jhering - la «tariffa della pena», ossia la comminatoria edittale, rappresenta la misura del valore dei beni sociali: «ponendo da un lato i beni sociali e dall'altro le pene si ottiene la scala dei valori di una societa'» (4) . Muovendo da tale constatazione, autorevole dottrina ha rilevato che proprio la prefissazione di un minimo edittale ratifichi «in assoluto la collocazione gerarchica del bene tutelato, contrassegnando l'"ultimo" gradino al quale puo' scendere la tutela giuridica», mentre il massimo legale segnerebbe «piuttosto il limite estremo fino al quale l'ordinamento e' disposto ad assicurare l'efficacia concreta di tale misura» (5) . Orbene, alla luce di simili condivisibili considerazioni, deve ritenersi ictu oculi irragionevole che il Legislatore dapprima accordi in riferimento al bene giuridico protetto dalla disposizione di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale una tutela giuridica attestantesi, nel minimo, al piu' basso «gradino» possibile ma, contestualmente, ad ogni tutela finisca per rinunciare - mediante l'istituto di cui all'art. 131-bis del codice penale - laddove lo stesso bene (il patrimonio) venga offeso da condotte (furtive, decettive o distruttive) normalmente ritenute meritevoli di una repressione ben piu' severa: la «scala di valori» complessivamente desumibile da un simile assetto normativo pare disarmonica, iniqua e del tutto dissonante con il disposto di cui all'art. 3 della Costituzione. 8. Appare appena il caso di rammentare che l'inevitabile disparita' di trattamento ravvisata da questo giudice e' stata presa in considerazione da codesta Corte nel sopra citato arresto n. 207/2017. Giova riportare testualmente la motivazione della sentenza de qua relativa a tale problematica: «se si fa riferimento alla pena minima di quindici giorni di reclusione, prevista per la ricettazione di particolare tenuita', non e' difficile immaginare casi concreti in cui rispetto a tale fattispecie potrebbe operare utilmente la causa di non punibilita' (impedita dalla comminatoria di sei anni), specie se si considera che, invece, per reati (come, ad esempio, furto o la truffa) che di tale causa consentono l'applicazione, e' prevista la pena minima, non particolarmente lieve, di sei mesi di reclusione. Pena che, secondo la valutazione del legislatore, dovrebbe essere indicativa di fatti di ben maggiore offensivita'». Codesta Corte ha poi ritenuto che «per ovviare a una situazione di questo tipo, oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di non punibilita' non possa operare, potrebbe prevedersi anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuita'», aggiungendo poi che «interventi del genere [...] esulano, per costante giurisprudenza, dai poteri di questa Corte»; il giudice delle leggi, in conclusione, ha affermato che «di tali interventi pero', una volta che ne sia stata rilevata l'esigenza, non puo' non farsi carico il legislatore, per evitare il protrarsi di trattamenti penali generalmente avvertiti come iniqui». Con tutta evidenza, nella sentenza n. 207/2017 e' stato condivisibilmente messo in evidenza dal giudice delle leggi che la ragionevolezza della perimetrazione del campo applicativo dell'art. 131-bis del codice penale non attiene esclusivamente «floor». 9. Orbene, questo giudice condivide il rilievo per cui la Corte costituzionale giammai potrebbe stabilire una volta per tutte una pena minima «al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuita'»: un simile intervento, infatti, comporterebbe inevitabilmente l'indebito esercizio d'una discrezionalita' spettante in via esclusiva al Legislatore; fissare una soglia di tal genere, infatti, e' operazione comportante una ponderazione stricto sensu politica fra opposte ragioni di carattere. A parere di questo Tribunale, tuttavia, in capo a codesta Corte sussiste comunque l'obbligo di «correggere» le disparita' di trattamento penale la cui irragionevolezza sia manifesta, in presenza di validi tertia comparationis, e cio' pur laddove l'intervento «correttivo» imposto dalle predette condizioni sia, per cosi' dire, circoscritto e puntuale: nel caso di specie, tale correzione consiste nel dichiarare l'art. 131-bis del codice penale incostituzionale nella parte in cui lo stesso non e' applicabile all'ipotesi di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale. Un simile modus procedendi e' stato di recente adottato da codesta Corte, ad esempio, nelle sentenze n. 251/2012, 105/2014, 106/2014, 74/2016 e 205/2017 in riferimento al divieto di prevalenza di plurime circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, del codice penale previsto dall'art. 69, comma 4, del codice penale. 10. Conviene rammentare, inoltre, che codesta Corte sovente ha proceduto alla rimozione dei vulnera derivanti da arbitrarie asimmetrie sanzionatorie allineando la «risposta punitiva» di talune fattispecie sottoposte al suo scrutinio a quella relativa a fattispecie analoghe in termini di lesione valoriale: detta operazione e' stata condotta al fine di neutralizzare incoerenze e disarmonie ravvisabili fra le cornici edittali di vari reati - rendendo applicabile ad alcuni di essi, ad esempio, la meno severa cornice di pena prevista da altri - oppure estendendo a taluni delitti le medesime soglie di punibilita' previste da altri (6) . Nel caso di specie, l'allineamento della «risposta punitiva» che s'impone di effettuare consiste nell'estendere il campo di applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto - e dunque un vero e proprio limite al perseguimento di un reato - all'ipotesi di delitto di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale, al fine di neutralizzare ingiustificabili disparita' di trattamento. 11. Breviter, questo Tribunale ritiene: - che - come stabilito in Corte costituzionale n. 207/2017 - i c.d. «minimi edittali» non possano non giocare un ruolo essenziale nella valutazione della legittimita' del perimetro applicativo dell'esimente di cui all'art. 131-bis del codice penale, attualmente delineato, per l'appunto, tenendo conto della cornice edittale dei vari reati; - che l'inapplicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale al delitto di ricettazione attenuata comporti inevitabili ed irragionevoli disparita' di trattamento, posto che detta esimente risulta applicabile a reati quali il furto, il danneggiamento e la truffa, puniti nel minimo con pene dodici volte superiori a quella di quindici giorni prevista come minimo per il reato di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale; - che i delitti di cui agli articoli 624, comma 1, del codice penale, 635 del codice penale e 640, comma 1, del codice penale fungano da validi tertia comparationis rispetto al delitto di ricettazione attenuata, posto che essi sono lesivi del bene giuridico «patrimonio» e non presentano note strutturali radicalmente difformi rispetto a quelle caratterizzanti il delitto di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale; - che la disparita' di trattamento ravvisata si ponga in contrasto con principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, risolvendosi in una discriminazione irragionevole; - che l'inapplicabilita' della causa di non punibilita' in questione si ponga altresi' in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, atteso che la palese disparita' di trattamento in parola e' idonea a frustrare le esigenze rieducative correlate al trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 648, comma 2, del codice penale. 12. Da ultimo, giova necessario sottolineare che non pare riferibile al delitto di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale alcuna peculiare caratteristica strutturale tale da doversi astrattamente escludere, in riferimento allo stesso, l'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. Ed invero, risulta che il Legislatore, al fine di limitare le ipotesi d'applicazione dell'esimente in parola, abbia inteso prendere in considerazione un numerus clausus di ipotesi entro lo specifico ed esaustivo «catalogo» di cui al secondo comma della sopra menzionata disposizione - ex plurimis l'integrazione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 61, comma 1, n. 1) e 5) del codice penale o la causazione (anche non voluta) di morte o lesioni gravi in capo ad un terzo. A lume di tanto, non pare possibile riscontrare rispetto alla ricettazione attenuata elementi strutturali tali da renderla radicalmente disomogenea rispetto non soltanto a delitti quali il furto non aggravato, la truffa non aggravata ed il danneggiamento, ma anche rispetto a tutti gli altri reati rispetto ai quali trova applicazione la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. 13. Va considerato, peraltro, che risulta obiettivamente irragionevole che condotte di ricettazione astrattamente punibili con una pena di gran lunga inferiore a sei mesi - sino ad un minimo di quindici giorni - non possano ricadere nel perimetro applicativo dell'esimente di cui all'art. 131-bis del codice penale in virtu' della incongrua circostanza che l'art. 648, comma 2, del codice penale preveda una comminatoria a dir poco anomala, poco congruamente quasi sovrapponibile in toto, nel massimo, a quella dell'art. 648, comma 1, del codice penale. Sul punto si e' gia' espressa proprio la Corte costituzionale nella sentenza n. 207/2017 in un passaggio che vale la pena riprendere integralmente: «se e' vero che in materia penale l'esercizio della discrezionalita' legislativa e' in gran parte sottratto al sindacato di questa Corte, e' anche vero che di una comminatoria per la ricettazione di particolare tenuita', che va (con riguardo alla pena detentiva) da un minimo di quindici giorni fino ad un massimo di sei anni di reclusione, non puo' non rilevarsi l'anomalia, tenuto conto dell'estensione dell'intervallo (sentenza n. 299 del 1992) e dell'ampia sovrapposizione con la cornice edittale della fattispecie non attenuata (punita con una pena che va da un minimo di due anni a un massimo di otto anni di reclusione). E' da aggiungere che mentre il massimo di sei anni, rispetto agli otto anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione particolarmente contenuta (meno di un terzo), al contrario il minimo di quindici giorni, rispetto ai due anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione enorme». 14. Da ultimo, appare essenziale sottolineare che nella sentenza n. 207/2017 pare essere stato formulato nei confronti del Legislatore un vero e proprio «monito»; in particolare, pare sia stato prescritto a questi di rimuovere le disparita' di trattamento inevitabilmente derivanti dalla delimitazione del campo applicativo della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale fondata solo sul riferimento al massimo edittale di cinque anni di reclusione. A fronte dell'assoluta inerzia del Legislatore sul punto, pare utile rammentare che «quando per riparare al vulnus costituzionale non soccorra lo strumento demolitorio, la Corte costituzionale non puo' autonomamente e a propria discrezione decidere», ma «in mancanza di un intervento del legislatore, la Corte [e'] pero' successivamente obbligata a intervenire, non mai in malam partem, e comunque nei limiti gia' tracciati dalla sua giurisprudenza» (in tal senso, Corte costituzionale n. 179/2017). Orbene, nel caso di specie l'intervento della Corte costituzionale s'impone in virtu' d'una perdurante ed evidente inerzia del Legislatore, foriera della prosecuzione di trattamenti sanzionatori - per usare le parole di Corte costituzionale n. 207/2017 «generalmente avvertiti come iniqui». 15. Alla luce di quanto sin qui detto, questo Tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale, nella parte in cui lo stesso non e' applicabile ai fatti di particolare tenuita' offensiva riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 648, comma 2, del codice penale. 16. Posto quanto precede in ordine alla non manifesta infondatezza della presente questione di legittimita' costituzionale, va sottolineato come essa sia rilevante nell'ambito del giudizio dibattimentale a quo (R.G. Dib. n. 6447/17, pendente dinanzi al Tribunale di Taranto in composizione monocratica, processo nell'ambito del quale l'istruttoria si e' gia' conclusa), e cio' in quanto dal suo accoglimento puo' dipendere la declaratoria di non punibilita' di M. . . . V. . . . (soggetto del tutto incensurato) in ordine alla ricettazione di poche lamette da barba, fatto da ritenersi di tenue offensivita' in virtu' della particolare tenuita' dell'offesa cagionata alla persona offesa e del lucro di speciale tenuita' che esso ha comportato. (1) In particolare, questo Tribunale ritiene che: 1) non si possa sindacare la legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale sulla base della mera circostanza che la causa di non punibilita' ivi prevista sia applicabile soltanto a taluni reati e non anche ad altri; 2) non si puo' contestare la scelta operata dal Legislatore di limitare l'applicabilita' dell'esimente de qua ai reati puniti nel massimo con pena detentiva inferiore a cinque anni. (2) In ottica comparatistica, si rinvia a quanto esposto in Mannozzi, Razionalita' e «giustizia» nella commisurazione della pena, Padova, 1996, p. 178 in ordine all'introduzione negli Stati Uniti dei c.d. mandatory minimum prison sentencing. (3) Cosi' V. Manes - V. Napoleoni, La legge penale illegittima - metodo itinerari e limiti della questione di costituzionalita' in materia penale, Torino, 2019, p. 367. A precisare che proprio minimi edittali alti impediscono di ricostruire indici credibili di tipicita' commisurativa e' M.Donini, La personalita' della responsabilita' penale tra tipicita' e colpevolezza in RIDDP, 2018, p. 1577 e ss. (4) Cosi' R.V. Jhering, Lo scopo nel diritto, 1898, ed. italiana a cura di M.G. Losano, Torino 1972, p. 346. (5) Cosi' T. Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, RIDDP, 1982, p. 445 e ss. (6) Per un approfondimento della tematica de qua si rinvia a V. Manes - V. Napoleoni, La legge penale illegittima, p. 362 e ss.